Rispetto e paura

Intervista a Federico
Federico ha 27 anni vive in un comune dell'hinterland dove sono stati trasferiti molti napoletani dopo il terremoto, in un gruppo di case popolari che ospitano solo persone provenienti da Napoli.

Federico ha partecipato ad alcune attività estorsive insieme a delinquenti di un clan perdente.  E' stato arrestato praticamente agli inizi di una possibile carriera criminale ed ha avuto una pesante condanna. Ha fatto quattro anni di carcere di alta sicurezza, senza indulto o sconti salvo quelli per buona condotta. Ora è stato rimesso in libertà e sta cercando faticosamente di rifarsi una vita lontano dall'ambiente che lo ha trascinato inesorabilmente a misurarsi con il mondo della camorra. A lui rivolgiamo delle domande per capire come  succedono certe cose, e cosa ha imparato da questa esperienza e soprattutto cosa può dire a chi oggi si trova in 'lista d'attesa' per entrare nelle file  del crimine.

Intervistatore - Molti pensano al reclutamento nelle file criminali come una operazione organizzata scientificamente da qualcuno che pianifica gli arruolamenti. Tu, mi pare che ci sei andato con i tuoi piedi senza costrizioni, a distanza di tempo hai capito cosa ti ha spinto a fare quella scelta?
Federico - Per scemità, per sentirmi più uomo; forse mi volevo misurare con mio padre.
Intervistatore - Perchè ti volevi misurare?
Federico -Mio padre è morto che avevo cinque anni. Di lui ricordo poco, soprattutto una scena in ospedale quando è cominciata la malattia che lo ha fatto morire. Avevo sentito parlare di lui da altre persone ma mai abbastanza in famiglia. Mia madre non mi diceva molto perché voleva 'salvarmi' Ma io mi sono informato;   alla fine però ho capito che neanche a lui piaceva questo schifo.
Intervistatore - Io penso anche che loro ti trattavano in modo diverso da tua madre e anche da me
Federico – Infatti  nel gruppo ero il più giovane di almeno 15 anni, ma venivo trattato come uomo e mi venivano date responsabilità; invece voialtri mi trattavate come un ragazzino.
Intervistatore - Quali sono i vantaggi di cui hai veramente goduto nel periodo di tua partecipazione alla banda?
Federico -Nessuno. Lo dico ora. Allora mi sembrava importante il fatto che ti rispettavano, invece ho scoperto  che avevano paura. E' molto diverso  perché mi rispetta chi mi vede come persona e non chi ha terrore di me. Avevo il soldo facile, dove andavo non mi facevano pagare. A volte  mi veniva lo schifo di andare al bar  perché non mi volevano far pagare. Una volta sono arrivato al punto di dire a uno che lo sparavo se non si pigliava i soldi. Spesso loro anticipavano le nostre richieste. Pensavano che l’estorsione era normale, non  è che non volevano pagare chiedevano solo lo sconto.
Intervistatore - Quali erano i rischi che correvi?
Federico -I rischi erano forti, morire uccisi o andare in galera. Ci  sono persone di questo ambiente che stanno sempre chiusi in casa, non possono uscire, o per  non essere uccisi o  per non essere arrestati, comunque devono stare chiusi.
Intervistatore - Quale rapporto avevi tu e quale gli altri con le sostanze stupefacenti?
Federico -Ci sono molti che non ne possono fare a meno e quando devono fare qualcosa  devono drogarsi. Io se usavo la droga  non valevo niente.  Io usavo spinelli e avevo anche tirato cocaina. Da quando ho cominciato l'attività ho diminuito. Alla fine ho smesso  del tutto. Avevo bisogno di stare lucido.  I miei compagni avevano un comportamento più superficiale, chiacchieravano, non sapevano regolarsi. Penso di aver influenzato anche il mio capo, dopo un po’ di tempo anche lui  è diventato un po' più serio e riservato. Io però  mi ero chiuso in me stesso, avevo già capito che non mi piaceva più, perché  “non me ne vedevo bene”, non potevo godermi i vantaggi di quella vita.
Nel mio vecchio paese  ci sono troppi drogati. Anche in questo paese dove mi trovo sento che c'è molta droga, a me ormai mi da fastidio, non mi piace sentirmi in quello stato. Non mi piace più, ora voglio trovarmi una ragazza  e sposarmi.
Intervistatore -Quale differenza di trattamento trovavi tra il tuo datore di lavoro regolare e questo datore di lavoro criminale?
Federico -Lui non era il mio capo. Decidevo ogni volta se fare una cosa o no, agivo da solo; spesso loro discutevano e io facevo le cose. C'era una grande differenza d'età, loro erano più timorosi, a me mi veniva spontaneo di non avere paura. Io non avevo paura. Invece quando tiravo cocaina avevo paura di tutto. Fare uno spinello ogni tanto con i compagni è bello, ridevo sempre, invece quando ne fumi tanti la mattina dopo stai come un mongoloide . La mattina quando stanno nervosi  è perchè la sera prima o si sono ubriacati, oppure hanno spinellato, o hanno tirato. Ho saputo che anche gli amici di mio padre tiravano  cocaina e invece mio padre – mi hanno detto - sentiva la musica di Beethoven nelle cuffie. (la madre interviene per dire che lei non ne sapeva niente NDR) Comunque sentiva una musica che gli dava la carica. Forse ha preso ispirazione dal film il padrino. La cocaina la vedo molto male, fa proprio stare male.
Intervistatore - Hai da dire qualcosa sull'andamento del processo?
Federico -Io non sapevo di avere anche il 416 bis, ho patteggiato ma nessuno mi ha detto che in questo nodo  mi dichiaravo camorrista, io non sono camorrista e non voglio esserlo. Preferivo  fare alcuni mesi di galera in più ma non dichiararmi camorrista. Ora ho questo marchio a vita.
Intervistatore - Hai fatto esperienza di pentiti, hai capito quale molla li spinge?
Federico -Sono pentiti per opportunismo e per uscire o per dispetto. Non sono veramente pentiti.  Meglio sentirsi pentiti dentro che non infamare le persone. Ho l’impressione che abbiano molti suggerimenti, persone che non sapevano niente improvvisamente  sanno tutto.
Intervistatore - Nella tua detenzione hai avuto la possibilità di distinguerti o separarti dai criminali? Puoi dire se qualcuno ti ha aiutato a capire i tuoi errori e a migliorare i comportamenti?
Federico -Mi hanno trattato  come gli altri, mi hanno tenuto insieme agli altri. Quello che ho imparato l'ho imparato da solo  e non perché l'istituzione mi ha aiutato a capire. E' chiaro che stando con gli anziani  dovevo avere rispetto per loro.
Intervistatore - Stando in diversi carceri di massima sicurezza  hai avuto la possibilità di conoscere il fior fiore della criminalità mafiosa italiana, ne vuoi parlare?
Federico -La maggior parte sono ignoranti come le capre, ragionano come bambini,  parlano di rispetto e non sanno neppure che cosa sia, fanno inciuci peggio delle puttane, e sono anche molto gelosi, basta che parli un po’ di più con uno e loro si ingelosiscono.
Intervistatore - Ma i mafiosi siciliani sono più seri
Federico -Non è vero sono come gli altri si danno delle arie ma alla fine fanno le stesse cose.
E poi molti di loro alla fine fanno accordi con la polizia. C'è un capo famoso che alla fine ha tradito proprio gli uomini che lo hanno aiutato ad evadere.  E in generale ho l'impressione che ci siano molti accordi con la polizia.
Intervistatore - Dopo averne fatta conoscenza diretta la tua idea dei criminali è cambiata?
Federico -Prima li vedevo come mito  ora li vedo come spazzatura.  Ci sono anche gli uomini veri, sono seri, hanno principi sani. Per esempio non ammazzare gli innocenti, quelli che non c’entrano. Che non coinvolgono  le donne. Già quando coinvolgono le donne io li schifo.
Ci sono persone che non rispettano gli affetti, amano più i compagni che la moglie; ho visto che se entrano in carcere due persone, sorridono al compagno e non alla moglie. Anche mio padre pensava come me: la famiglia comunque veniva prima. Loro considerano questa una debolezza.
Intervistatore - In carcere  hai imparato molte cose?
Federico -Capire le persone, capire dopo poco tempo che tipo è, la fiducia ad esempio, se una persona è vera o falsa. In carcere le persone che ho conosciuto non mi interessano .
Ho imparato ad aspettare e a fare compromessi. Ci penso un po’ di più. Prima mi infiammavo subito, ero impulsivo.
Poi ho imparato a cucinare.  Guardando quelli che lo sapevano fare,  Ho imparato a costruire il forno due fornelli rinchiusi in un tubo fatto con le scatole di pelati senza fondo, poi si fa una cappa con la carta argentata in modo che il calore gira, in questo modo le cose si cuociono da sotto e da sopra.

 

 
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