spacer
   
 
    spacer  

Metodologia educativa ed autobriografia

Intervista (per la tesi di laurea) di Fabio Olivieri 23 giugno 2007

Fabio: Prima mi stavi dicendo della scrittura di sé nei bambini…

Cesare:
Visto che parliamo di autobiografia..Ai temi pigliavo sempre 5 e la motivazione era quasi sempre che ero andato “fuoritema”. A dire il vero sono arrivato a 60 anni e secondo me sono ancora fuori tema.
In realtà non è che andavo fuori tema…è che sono proprio uno "Fuori Tema".
Un outsider e rimarrò sempre uno fuori posto. Due volte ho avuto 8 . Ad un tema intitolato “Io” e un’altra volta la descrizione alla visita delle grotte di Palinuro. Perché anche lì erano sostanzialmente due temi liberi. “Io” è libero..l’altro era “Di ritorno dalle vacanze ricordo una bella esperienza” e ho raccontato una bella esperienza. Quindi lì non potevo uscire fuori tema capito? Quando ho fatto “Io” non potevo uscire fuori tema perché Io sono Io...Io..credo fosse alla scuola elementare e invece..le grotte di Palinuro era alla scuola media ma insomma, il problema era che avevo un forte senso di me e..quindi ho detto tutto quello che dovevo dire compreso, credo, qualche critica alla maestra che secondo me non mi capiva etc.
Voglio dire che, normalmente, se in un lavoro scritto ci metti del tuo la cosa non viene apprezzata, facilmente si dirà che sei andato fuori traccia. E comunque diciamo più in generale il tipo di scrittura che ti viene chiesta a scuola è .o il tema, o il riassunto. Il riassunto in realtà è forse la forma di scrittura più nobile che ci sia. Perché significa in qualche modo rivivere in un modo tuo quello che è stato detto da altri. Noi non lo chiamiamo riassunto, ma quando per esempio verbalizziamo le sedute..noi verbalizziamo tutto..lì ti accorgi subito dell’abisso che c’è tra le persone. Oriana per esempio lo fa bene.

Fabio Che difficoltà riscontri?

Cesare

Non è che tu devi fare una sintesi: Tu in qualche modo devi aderire al punto di vista di chi sta parlando e in qualche modo cogliere l’essenza di quello che sta dicendo. Quindi è una operazione estremamente complessa. Non è un lavoro sintetico in senso hegheliano né un lavoro sintetico nel senso “mettiamoci meno parole”. E’ un lavoro sintetico nel senso che devi fare una sintesi nel senso chimico del termine tra due cose diverse : Io e quello che sto sentendo. Se non hai una disponibilità all’ascolto che è una disponibilità a capire le ragioni di chi sta parlando, tu te ne esci con due soluzioni. O scrivi pedissequamente quello che senti , ed ho visti i verbali di questo tipo e quando li vai a riprendere dici “Vabbè è possibile che ho detto tutte ‘ste stronzate!”. Oppure invece di scrivere quello che sta dicendo il Tizio scrivi quello che pensi tu..e quindi non va bene. Il tutto deve essere fatto in tempo reale e questo conta perché c’è una terza componente che è l’emozione del momento che ti fa venire fuori un prodotto originale. A volte interviste fatte da giornalisti bravi o dei report fatte da Oriana ti restituiscono una immagine di te migliore di come te la vivevi tu . Invece dire quante stronzate ho detto …dici “Ma che cose belle che ho detto!”. L’altro ci ha messo del suo . Questo accade anche nel riassunto . Il riassunto quando cerchi di rispondere a queste domande “Ma io come l’ho vissuta questa cosa?”. Quali sono le risonanze che ci sono state tra me e ciò che ho letto ? Come restituisco il riassunto? Non uno scritto con meno parole, ma una cosa che è la fusione del mio punto di vista con quello che ha detto l’altro. Questa è una bella cosa.

Fabio: Questo in realtà richiama anche a dei processi di ri-significazione.

Cesare
In conclusione tutta la nostra vita è questo. Tutta la nostra vita è come se noi riscrivessimo il mondo, mettendoci del nostro. Una ri-significazione di tutto. Se non c’è questo, se mi limito a recepire i significati che mi hanno dato gli altri ..il mondo rimarrebbe sempre uguale a se stesso. Non solo, forse la metà delle cose è frutto di fraintendimenti : “ho capito una cosa per un’altra” ciononostante si produce qualcosa di nuovo. Da questo punto di vista, il riassunto è un’arte . Un’arte nobilissima, la più nobile di tutte perché è facile – si fa per dire - inventarsi una cosa..difficile è entrare in rapporto con una cosa già fatta. Non è facile inventarsi la “Divina Commedia”!! Però in qualche modo riscriverla è molto più difficile. Non so se hai mai letto quel pezzo di Borges, credo “La biblioteca di Babele” che dice “perché io ho scritto (Quell’IO non è Borges , è un personaggio) il Don Chisciotte, ma il primo rigo del primo capitolo era proprio uguale! E il secondo rigo…e il terzo rigo etc, etc. E’ proprio uguale! Indistinguibile dall’originale! Però l’ho scritto io”. Va avanti per pagine e pagine a spiegare come il suo Don Chisciotte era proprio identico a quell’altro. Io l’ho sempre preso come una metafora per dire che ci sono dei casi in cui una scrittura è talmente importante che l’unica cosa che posso fare è di riscrivere virgola per virgola quello che c’è. Non ci posso mettere mano. Quando noi parliamo di riassunto pensiamo a un prodotto scolastico osceno. E comunque anche dentro quello, così osceno del “mettiamo meno parole” in realtà ci metti tutto. Ho fatto un’esperienza con un bambino. Non davo un vero riassunto . Dicevo “Prendete le parole che vi sono piaciute di più. Poi su queste parole (stavamo in seconda elementare!) e su queste parole discutiamo insieme e scriviamo una cosa” . Non lo chiamavo riassunto. C’era un brano di Saverio Strati che descrive il suo ingresso in Svizzera dove “ammassati come pecore in un uno stazzo..arrivati alla frontiera si presenta un gendarme con voce di demonio che dice < Svelti,svelti,svelti! Scendete!>. Io avevo i piedi intirizziti e il cervello che non funzionava per il freddo..” etc, etc. Insomma la descrizione di una dura emigrazione in Svizzera. Questo Bambino sceglie: Pecore, Stazzo, Congela e voce di Demonio. Praticamente tutte le parole connotate le ha beccate tutte. Queste parole messe in fila costituivano con qualche piccolo connettivo …erano una versione in versi di un brano di 2 pagine. Dove c’era tutto quello che ci doveva essere. Che era esattamente l’operazione inversa della versione in prosa. Questo bambino non ha fatto niente, non ha detto niente di nuovo, ha semplicemente scelto in mezzo a 300 parole, sette parole, oltretutto era l’unico che aveva difficoltà di scrittura.. ma guarda caso ha beccato tutte le parole emotivamente calde. Tutte le parole che a lui dicevano qualche cosa.
“Stazzo di pecore”, “Freddo che congela il cervello”, “Voce di demonio” etc. Con quattro salti ha steso la Svizzera! Ha colto l’essenziale. E tu questo me lo chiami riassunto ? Questa è una operazione creativa! La copia era meglio dell’originale. La scrittura e la ri-scrittura comporta sempre una ri-significazione almeno che non sia una operazione meramente idiota. …Quando il ragazzino mi ha presentato queste quattro frasi..io sono saltato! Ho detto “ma guarda questo che s’è fidato di fare!” Un operazione che nessuno di noi sarebbe riuscito a fare . Lui c’è riuscito. Un altro avrebbe detto “ma ragazzi qua manca…non c’è scritto che stavano in treno. Non si parla di frontiera!” . Ci mancano i riferimenti : Chi, dove, come e Quando? Invece lui ha colto le parole di valore universale che stanno fuori dal tempo . Da questo punto di vista la scuola facendo una operazione rivolta allo studente medio, allo studente astratto, non tiene mai conto dello studente che vive e che quindi ci mette del suo. Quando ci mette del suo dice: “Sei andato Fuori-tema”.
La scrittura a scuola oltre al riassunto è il breve saggio quello che si chiama “il tema” : “Parla dei problemi ecologici del giorno d’oggi.” La cosa si chiamerebbe breve saggio e sarebbe molto più serio chiamarlo breve saggio perché tu non devi mettere delle idee in libertà. Tu devi riferire di un argomento . Non è che devi dire “Io penso che il tema dell’ambiente è importante”…Chi se ne frega che secondo te è importante ! Spiegami perché è importante. Il tema è fatto un pochino come opinione in libertà, invece il concetto di breve saggio è dire “Ok . Ti sei informato su un’argomento..adesso riferisci”. Anche questa è una nobile operazione. Oppure c’è il testo referenziale…”esponga il candidato la prima legge della dinamica” . La versione degradata e stereotipa di questa pratica didattica diventa verificare quanto sei capace di ripetere quello che ti ha detto il professore o che è scritto sul libro. Quindi da questo punto di vista non c’è alcun tentativo di risignificazione. L’operazione di risignificazione non viene proprio proposta perché è una operazione creativa. La scuola si propone come un ripetitore. Un antenna che capta da una parte e trasmette dall’altra parte. Quindi l’operazione creativa non è contemplata anche perché ..l’operazione creativa non è facilmente gestibile. Non è gestibile nei termini tradizionali…perché la scuola è essenzialmente lineare. La creatività non è lineare…se fosse lineare sarebbero tutti creativi. 2 più 2 fa 4 ..quello lo sanno fare tutti . Il problema è quando 2 più 2 fa 4 arancione. Fa sempre 4 però il problema è che è un 4 arancione. Un colore che ti distoglie dal fatto che è 4. Non solo. Poi non c’è certezza. Nel senso che in un discorso lineare due più due fa 4 , in un discorso non lineare due più due fa 4. Ok. Ma poi a noi non interessa più di tanto che 2 più 2 fa 4 ..ma qual è il significato di questo 4 . Anche su questo..c’era un bambino che si inceppava sul 5 . Io lo dissi in televisione, senza fare il nome. Lui il giorno dopo quando scrisse disse “ Il signor Ferrara (che era Ferrara il giornalista che mi chiese a tradimento perché due più due fa 4 ? Che non è una bella domanda! Perché se ti chiedono “Quanto fa due più due? “…Fa 4 . “Ma perché due più due fa quattro ?” E’ la tipica domanda cretina che però ti manda in crisi se non sei preparato . Dissi “ Qual è il problema ? E’ che in generale succede che uno prende due. Poi conta altri due dopo il due e generalmente arriva al 4. Sennonché ci sono alcuni bambini che quando arrivano al 4 si impicciano con le dita e non riescono più a dire se fa 4,5, o 6 e quindi 2 + 2 non fa 4! Ma allora quanto fa? Potrebbe fare 4 ma potrebbe fare 3 . Fa quello che capita.” Il bambino capì che si trattava di lui e quindo scrisse “…e il maestro Moreno ebbe una bacchettata sulla mano!” . Cosa che non è proprio avvenuta …anzi mi fece i complimenti etc.etc. Questa è una bella risignificazione. “Quello stronzo è andato a dire i fatti miei in televisione ed io lo meno!”. La storia non finisce lì. Scopro cosa c’è dietro dopo 5 anni che avevo questo bambino. L’ultimo giorno, il 13 Giugno, quando la scuola era deserta perché gli insegnanti i ragazzi li fanno andar via prima. L’unica classe che era presente fino all’ultimo giorno ero io . (20.10 minuti) . Il 13 Giugno alle ore 11 , facciamo un bilancio di questi 5 anni passati assieme e ognuno scrive quello che gli sembra etc.etc. Allora lui scrive delle cose . Poi dice “Io sono un bambino simpatico. Fatto bello fuori .. …e dentro sento le mazzate che non devo sentire!” . Già questa è una bella frase . Poi va avanti e dice “ Io …la mia famiglia siamo 4 ..però …e io mi chiamo Daniele e si chiamava Daniele anche mio fratello che è morto in un pozzo in Germania… a me mi piace il nome di …” e cancella. Poi scrive “ Il nome di mi…” e cancella . Poi scrive “ Mi piace il nome di …” e cancella. E poi “ a me piace il nome Daniele perché un altro non mi piace”. E lì ho detto “finalmente è questo il problema”…perché lui per due volte stava scrivendo “il nome di mio fratello”, e siccome il fratello nell’ordine della conta era il quinto. Quindi lui quando faceva la conta della famiglia diceva “Mamma, Papà, Antonietta, Gennaro e…” Quando arrivava a Daniele. Chi era Daniele ? Lui o il fratello ? E là si inceppava . E’ andato avanti per 5 anni senza dire niente di questa storia. Poi invece scrive che il fratello è magrolino invece lui è grasso . Sto bambino era chiarissimo che aveva problemi di identità . Aveva un bulimia legata a questo. Aveva l’ecolalia, ripeteva sempre le parole che dicevi. Un ragazzo normale, intelligente, faceva anche le operazioni più complesse ma il numero 5 era un tabù gravissimo per lui.
Questo esempio serve per dire che anche la cosa più scontata come potrebbero essere i numeri, che sono sempre uguali a se stessi, in realtà sono oggetto di risignificazione . Prima di attingere al mio 5 come equivalente universale di tutti gli insiemi composti da 5 elementi, perché è questo il numero 5, prima di arrivare a questo concetto, il 5 sono i membri della mia famiglia. Il 5 sono le dita , i miei amichetti. Non è l’equivalente universale di un bel niente. Rappresenta un elemento significativo della mia esperienza. Se non rappresenta un elemento significativo della mia esperienza io il 5 non lo imparo. Questo discorso della Risignificazione potrebbe essere alla base di qualsiasi didattica. Invece se fai un intervista a 300000 mila insegnanti non sanno che cos’è nemmeno la significazione ..figuriamoci la ri-significazione!

Fabio : Mi colpiva questa cosa in merito al narrarsi, al narrare di sé. Leggevo in uno dei tuoi articoli la difficoltà anche di parlare di vicende personali in dei contesti in cui non esisti tu solo come bambino , ma hai un contesto familiare in cui parlare può comportare dei problemi oggettivi. Mi viene da pensare che nel momento in cui devi narrare di te, lo puoi fare solo a livello simbolico. Utilizzando simboli attraverso i quali sprigionare in qualche modo quello che hai dentro. Possono essere anche le fiabe…modalità diverse del narrarsi. Il simbolo è uno degli scopi ricorrenti che ho trovato nel corso …anche quello della madre sociale…è un qualcosa che nella sua accezione originaria sono proprio due tessere spezzate simbolo dell’alleanza. In che modo vivi l’alleanza nell’educativo ? Qual è l’aspetto che è veramente simbolico in senso stretto nella relazione tra insegnante e bambino…in questi contesti e nel contesto del narrarsi?

Cesare
Prima del simbolo, io parlerei della metafora. Alla base del simbolo c’è un’attività metaforica: il fatto di stabilire la corrispondenza tra due mondi. Se la locomotiva sta avanti e i vagoni stanno dietro, in questo momento: questa poltrona è la locomotiva e queste sedie sono i vagoni. Stabilire una corrispondenza bi-univoca tra due mondi che non c’entrano nulla l’uno con l’altro. Questo mi serve per costruire i simboli. Io stabilisco una regola d’uso : se questa penna è simbolo di questo blocco, la regola d’uso di questa penna è che quando levo il tappo è equivalente al fatto che giro il foglio. Quindi questa penna può essere il simbolo di quel blocco, se io ho costruito questa metafora e questa corrispondenza bi-univoca. Perché se no il simbolo …se viene usato in un modo diverso dal referente non è più un simbolo. Il simbolo buono è quello che non ha nessun significato proprio. Per es. La Parola è il simbolo dell’Oggetto. E’ un buon simbolo perché non è nulla . E’ semplicemente un’emissione di voce e quindi non ha un suo significato . O si riferisce all’oggetto oppure non ha significato. La parola a sua volta diventa un oggetto che entra in relazione con altri oggetti della stessa specie. Per poter costruire una narrazione devo avere una capacità metaforica, ossia saper ristabilire la corrispondenza tra le parole e i loro referenti. La costruzione e l’uso del simbolo presuppongono una capacità metaforica. La capacità metaforica è molto importante perché da un lato è creativa: attraverso la metafora tu crei mondi nuovi . Dall’altro è importante perché ti consente di allontanarti dalla “scena del delitto” senza dimenticartene. Quindi ti consente di rivisitare la “scena del delitto”, ossia – sto usando una metafora - situazioni dolorose, attraverso le loro rappresentazioni, i loro simboli e non facendoti male sul serio . Quindi la metafora è uno strumento fondamentale per poter trattare materie difficili. C’è un detto inglese che dice “se vuoi avere a che fare con il Diavolo procurati una forchetta lunga”. La metafora è la pinza lunga per trattare argomenti incandescenti. La capacità metaforica è assolutamente fondamentale per l’uomo perché ti consente di gestire nella mente cose che gestite nel reale fanno parecchio male.
Però c’è anche la cosa inversa. Il fatto che qualsiasi simbolo. Parola, può essere in grado di rievocare qualcosa di dolorosa senza che magari tu neppure lo sappia. Allora il punto critico sta nellae relazioni molteplici che esistono tra mondo reale e sue rappresentazioni; noi abbiamo questa capacità di costruire rappresentazioni maneggevoli che ci consentono di fare operazioni che nel reale sarebbero molto pesanti. ( 30 min e 25 sec) Sia sotto il profilo pratico che sotto il profilo emotivo. Viceversa poi le metafore mi fanno sempre ricordare il mondo reale…e quindi ..mi evocano il mondo reale e i suoi dolori . Certe volte senza neanche rendersene conto. Tutta lo sviluppo cognitivo e il ruolo della scuola alla fine riguardano la capacità di gestire le metafore. Questa pinza lunga che mi serve per maneggiare realtà incandescenti comporta la consapevolezza che ogni qualvolta vi ricorro, questa porta con sé un frammento del dolore che l’ha resa necessaria. Con i bambini noi abbiamo sempre questo problema. Come governare la capacità metaforica? Anche perché la capacità metaforica, che in larga parte coincide con la capacità semiotica, cioè di produrre significati, di ri-significare: la semiosi è infinita. Io posso generare metafore da metafore e significati da significati. La semiosi, la capacità metaforica è senza fine. Se tu non riesci a dare uno stop a questa capacità di autoriprodursi impazzisci. Anche perché rimandi continuamente ai significati più profondi e questo non sempre fa bene. Questi significati alla fine sono sempre : la Paura, il tentativo di rimanere in vita quando il mondo congiura contro di te. L’incapacità di porre un freno a questa compulsione trasformativa è follia; la follia nelle sue varie forme, riguarda questo. Se torniamo alla domanda “le metafore che importanza hanno nel lavoro educativo?” , io dico: esse stesse sono il lavoro educativo. E’ l’uso dei simboli e delle metafore che devono essere appresi per poter maneggiare la realtà senza farsi male. L’unico vantaggio del lavoro intellettuale, dell’affinamento concettuale della realtà, è il fatto che io possa agire a distanza rispetto all’oggetto senza entrarci in relazione diretta.

Fabio : certamente questa metafora della pinza per gli oggetti incandescenti ci fa pensare ad una sua duplice funzione. Se da una parte dobbiamo cogliere quegli oggetti in modo tale da non scottarci, dall’altra una volta che si sono raffreddati ce ne dobbiamo riappropriare, reintroiettare.

Cesare:
Il senso della metafora è proprio quello di poter sperimentare in corpore vili, - uso volutamente questa espressione a sproposito, per dire che l’idea di un esperimento rischioso compiuto lontano dalla mia preziosa persona, riguarda proprio la parte tutt’altro che vile dell’uomo – sperimentare nella mente ciò che sperimentato nel reale sarebbe troppo pericoloso o doloroso. Però alla fine devi passare all’azione. Perché altrimenti rischi di crescere su te stesso. La favola quando dice “C’era una volta…” dice subito che quell’universo è molto distante. Avverte che si sta entrando in un mondo magico che non è pericoloso. Quello che traspare in modo opportuno è che le emozioni che si provano qui e là sono esattamente le stesse di quelle reali: si piange, si ride, ci si commuove.
“Come se” fosse vero. Se non ci fosse questa capacità di provare emozioni nel “come se”… nella significazione è fondamentale legare l’emozione al significato, senza di essa quest’ultimo non avrebbe ragione d’esistere. Paura, attesa, angoscia, ansia etc. Se una cosa non mi provoca un minimo di ansia è senza valore. Quando tu doni un regalo, perdi tempo nel confezionarlo con il fiocchettino, legandolo per bene, scegliendo la carta giusta. Perché ? Non solo per vezzo estetico perché l’occhio vuole la sua parte . E’ l’attesa di scartare . Crei una piccola attesa che diventa un investimento emotivo sull’oggetto. Ritardando la gratificazione accumuli energia. L’attesa è energia che si accumula e poi la scarichi al momento opportuno. Bisogna stare sempre attenti ad utilizzare questa potenzialità perché la mia metafora non è la tua metafora. Il positivo e il negativo si mescolano scambiandosi i ruoli. Un tramonto viene ritenuto generalmente romantico, se sono sul mare con una fidanzata. Se dico invece “mio padre è ormai al tramonto”. Il sole che si immerge nel mare o che muore assume una valenza malinconica, triste. Il tramonto è dunque una metafora positiva o negativa? Dipende dallo stato emotivo di chi guarda il tramonto. Il problema per noi è proprio quello di comprendere che la mente umana per la sua capacità metaforica infinita ed indefinita, quando meno te lo aspetti ti fa ritrovare a parlare di corda a casa dell’impiccato. “piacere, di mestiere faccio il cordaio” e a quello hanno impiccato il figlio tre giorni prima! Può un insegnante non parlare di corda a casa dell’impiccato ? No. E’ sicuro che tu parli di corda a casa dell’impiccato, specie per i bambini. Vedi l’aneddoto del numero 5. Quando utilizziamo la metafora da una parte facciamo l’unica operazione possibile che possiamo fare: maneggiare una realtà complessa con delle rappresentazioni semplificate e con degli oggetti simbolici che non fanno male. Lavorare con i concetti significa non farsi mordere anche se posso piangere come se lo avessero fatto. Da questo lato ti aiuta a gestire delle realtà diverse pur essendo consci però che per le sue caratteristiche peculiari non porta con sé un unico significato, ma tendenzialmente tante metafore quanto sono gli individui e in mezzo agli individui ci sarà sempre qualcuno a cui quella metafora farà molto male! Parecchi insegnanti hanno pensato di poter lavorare con emozioni e con i sentimenti come con una materia scolastica, senza rendersi conto che rischi di aprire l’otre dei venti, quello aperto dai compagni di Ulisse. Se vuoi lasciarti sedurre dalla melodia dei sentimenti, devi farti legare come Ulisse fece – appresa la lezione - per ascoltare il canto delle sirene. Appena si apre l’otre dei venti vieni sballottato …Tu rischi di ritornare in quello stato confusionario tipico dell’infanzia in cui non capisci il bene e il male. La differenza tra la Maga Circe e una buona samaritana. Molti insegnanti hanno pensato che mettendo qualche parolina più personale potevano educare il pupo. Hanno semplicemente scatenato emozioni incontrollabili e poi sono costretti a tirare i remi in barca. E questo i ragazzi lo vivono come “tradimento”, molto di più che non la freddezza professionale. Ci sono docenti aperti paternalisticamente alle ‘confidenze’. Spesso più le proprie che non quelle degli allievi, ma poi sul più bello riprendono in mano il registro e l’attitudine giudicante. Sotto questo aspetto l’insegnante austero di vecchio stampo è di gran lunga preferibile e preferito. (47 minuti e 25 secondi)

Fabio: Rispetto al viversi le emozioni da parte degli insegnanti occorre rilevare che è molto poco sviluppata l’intelligenza emotiva . Viene lasciata a sé sia nell’adulto che nel bambino. Quanto e come credi possa influire e soprattutto come lavorate in quei contesti in cui gestire le emozioni fa la differenza delle relazioni. A scuola questo, almeno in quelle istituzionali, non viene neanche preso in considerazione.

Cesare
Il problema …non è la scuola che non considera le emozioni. E’ un’intera cultura che ha una idea dello sviluppo personale come di ….come una sorte di evoluzione creativa. In questa l’uomo pensante razionale lineare, intelligente, etc. ha sepolto l’Uomo emozionale ed ha sepolto anche il bambino emozionale. In realtà non è così…in ogni singolo atto di conoscenza si mescolano emotività, casualità, casualità, ragione. L’atto di conoscenza è un atto complesso e non lineare. Entro in rapporto con l’oggetto lo manipolo, stabiliscono relazioni con lui, mi lascio invadere dal sentimento di lui . La famosa sintesi, in cui l’oggetto esiste in sé, è un universale e non è solo ‘per me’ viene molto dopo, e comporta ogni volta un travaglio interminabile. In realtà ogni atto di conoscenza è un complesso di atti di conoscenza su piani diversi. Il piano emotivo è sempre presente. Ho fatto una raccolta di citazioni a riguardo . Anche Einstein che può essere tacciato di tutto tranne che di irrazionalità, lo dice in modo chiaro: la ricerca scientifica è possibile solo perché c’è una passione che è dello stesso tipo di quella che un amante ha per la propria amata. E’ lo stesso tipo di rapporto – dice Albert - che San Francesco e Democrito hanno con la natura. Il contemplativo, la cosmica meraviglia del mondo vengono prima di qualsiasi discorso razionale. E se questo non c‘è la ragione è vuota, è follia.

Fabio: Leggendo il tuo articolo sul fatto di cronaca accaduto a Palermo mi era venuto in mente, mi aveva richiamato il senso della punizione. Ho quindi ripensato ad un romanzo che per antonomasia affronta il senso del pentimento e della punizione : Delitto e castigo di Dostoevskij . In cui c’è da parte di Raskol’nikov una serie tormentata, prima di arrivare a concepire il passaggio attraverso il perdono istituzionalizzato. D. ti porta fino ad un certo limite in cui ti domandi “Vabbè ma se fondamentalmente si è pentito e lo ha fatto con tormento…serve poi andare oltre?” . In realtà l’incontro con Sonia è rivelatore rispetto al Perdono . Decide, pur avendola fatta franca di costituirsi. Per cui ciò che mi colpisce è quanto conta il pentimento personale rispetto ai canali istituzionali nelle situazioni di disagio. Nel momento in cui ti vivi un contesto che avverti come ingiusto…secondo te c’è il senso o la necessità di essere perdonati in contesti di difficoltà primaria nell’approccio, nell’integrarsi all’interno della società? Avverti che ci sia questa necessità da parte di tutti di essere perdonati, chiaramente non nel senso cattolico, quasi un riconoscimento della totalità dell’altro nei suoi aspetti positivi o negativi .

Cesare:
Avere il perdono…io ripeto il discorso che ho fatto in quella lettera. La prima cosa è che io mi devo sentire in colpa..e io mi sento in colpa se ho il senso di un debito non pagato, una rottura che è avvenuta. Il discorso del Perdono non lo riesco a vedere se non nel discorso di dire “Devo riparare”.
Ma questo riparare naturalmente deve fare i conti con la soggettività dell’altro . Riparare non può significare che io me ne vado in una grotta in montagna mi metto il cilicio e mi auto-punisco. Perché ciò che è importante non è infliggere il dolore al Reo ma riprendere il confronto con l’altro e da questo punto di vista ..ci sto riflettendo in questo momento…questa idea del perdono, forase c’entra.
L’idea che ci debba essere un’attività di conciliazione. Tutto quel discorso che faccio sulla punizione ha un unico corollario ..insisto a dire che l’unica punizione che ha senso è quella vissuta socialmente. Adesso la tua domanda sul perdono ripropone in termini diversi la stessa cosa. O la parte offesa, o un suo rappresentante …qualcuno ci deve essere che mi restituisce il senso della mia espiazione. Uno che dice “ok. Hai saldato il conto!”. Non è possibile farlo mettendo i soldi su un conto anonimo in una banca svizzera. Se sono in debito con te i soldi li devo restituire a te e la ricevuta me la devi dare tu. Che io Prenda 10 volte tanto la cifra e la versi in un conto svizzero dove faccio beneficenza ai bambini malati di AIDS…non ha senso. Questa idea che dici tu..il Perdono …avere di fronte a me o la vittima o un suo rappresentante, o una persona che rappresenta la vittima per eccellenza , l’Innocente è quello. Colui che è Innocente è l’unico che mi può restituire tutte le colpe di cui non conosco la vittima. Per il semplice fatto di esistere e di avere relazioni sociali qualche colpa ce la devo avere. Come bisogno generale e non quindi come “ho fatto un errore” e devo essere perdonato. Ma in un certo senso è come se ci fosse una sorta di peccato originale per il fatto di stare in società. Faccio parte dei meccanismi e il senso di appartenenza ad una comunità mi può essere dato soltanto dal fatto che qualcuno mi accetti per quello che sono, con i miei difetti . Qualcuno che mi perdoni per le cose che io posso aver fatto. Del resto guarda che nel meccanismo del capro espiatorio che oggi si usa a sproposito indicando una persona colpevole, quando invece la sua caratteristica è appunto quella di essere innocente ..altrimenti non sarebbe un capro espiatorio. (1 ora e 19 secondi) Quello che voglio dire ..Questa idea che dobbiamo farci perdonare quindi dobbiamo fare un sacrificio alla divinità, possiamo dire un sacrificio all’ordine sociale esistente…Pagare un prezzo per entrare nella comunità…da questo punto di vista il perdono dobbiamo averlo un po’ tutti anche se non abbiamo fatto niente. E’ come dire per poter entrare alla comunità io devo rinunciare ad una parte di me stesso …finché sono tutto centrato su me stesso non potrò mai entrare nel gruppo. Ci dovrà essere da un lato un atto di contrizione iniziale dall’altro lato ci deve essere un atto di accettazione che qualche volta noi chiamiamo perdono. Tutta la ritualità cattolica è basata su questo : ripetere continuamente questo atto di contrizione, sacrificio rituale dell’innocente e il perdono perché sono peccatore. Da questo punto di vista io penso che …non me lo ricordavo Dostoevskij così…l’esempio mi pare che funzioni bene,cioè non basta che lui si costituisca. Attraverso Sonia deve rientrare in contatto con le sue vittime. In sostanza deve rientrare in contatto con l’umanità e dire comunque “Io faccio parte di Voi”. Ha bisogno del perdono non può limitarsi solo a pagare in galera. Penso che ci sia questo. Anche se bisogna stare attenti a non vivere questa cosa come una sorta di desiderio di espiazione o di auto-punizione. In realtà il perdono è un atto liberatorio. E’ il rientro nel gruppo . La richiesta di perdono è anche un atto di sottomissione al gruppo, alla società. Viceversa viverlo come espiazione per i prossimi trenta anni anziché essere un atto di libertà diviene chiusura. Ho visto dei miei colleghi che hanno un po’ la volontà di espiazione… di riscattare . Non so se il loro peccato o i peccati del mondo quindi questo voler dare, volere dare…”perché hai tanta voglia di dare ?” Prendi pure qualche cosa. Quando tu non ti prendi niente non fai parte del gruppo.